LA MIA LEGGENDA PERSONALE
Sono nata nei primi anni cinquanta del secolo scorso nelle campagne di Chianciano Terme (Si), in un podere chiamato Poggio al moro, di cui non ho ricordi diretti perché, a qualche mese dalla mia nascita, la famiglia patriarcale, seguendo il corso della storia, si disgregò e ogni nucleo familiare lasciò il vecchio podere, andando ad abitare nel paese o vicino al paese.
Qualche anno fa sono tornata a visitare il casolare della mia nascita che, comunque, tramite i racconti di mia madre, persiste nel mio immaginario: è una bella casa di mattoni rossi, grande e articolata, sita in cima a un poggio e circondata da vasti vigneti, uliveti e boschetti; un luogo bello e arioso, dove però sono accaduti fatti molto drammatici per i miei genitori, che hanno segnato la loro vita e pure la mia.
Miei cari
L’infanzia torna
libellula posata su fiori di finocchio
case antiche su poggi di creta
Miei cari, tornate a me
nei campi di pastrinache
nei prati d’erba medica
Tornano le voci e le risate
gli sguardi dell’amore
libertà della vita di frontiera:
lenzuoli nelle stoppie
canti a squarciagola
Quasi niente era nostro
tranne la libertà di giocare
con il tempo
e quel tempo lento
vi ha scolpiti in me per sempre
(da Stagioni sovrapposte e confuse- Montedit, 2010)
Negli anni Sessanta ho potuto osservare il passaggio dalla civiltà agricola a quella industriale anche nel mio paese, da un osservatorio privilegiato: Viale Roma, l’arteria principale delle Terme chiancianesi.
Infatti, terminato l’anno scolastico, da studentessa mi trasformavo in commessa, impiegata in negozi di ceramica o di abbigliamento o di giocattoli e partecipavo al ritmo di lavoro entusiasta degli stagionali. In quelle estati c’era tutto un pullulare di gente per le strade, tra i Chiancianesi che da contadini s’improvvisavano albergatori, negozianti, baristi, camerieri, portieri, facchini, giardinieri, muratori e i “clienti”, numerosissimi e variegati, che arrivavano belli e abbronzati dalle precedenti vacanze marine e chiedevano solo relax e divertimento.
Giunse il periodo dell’Università e scoprii la città. L’acropoli di Perugia era magica, lì sembrava che vivesse una sola generazione, quella dei giovani studenti che dal pomeriggio fino a notte inoltrata invadevano Corso Vannucci, Piazza Quattro Novembre e tutti i vicoli dei dintorni. Fu lì che vidi chiudere l’ultima amata birreria e aprire la prima discoteca; fu lì che partecipai all’ultima grande festa delle matricole della storia, entrando alla testa del corteo nel Palazzo dei Priori con il manto di ermellino (ancora non so perché avessero scelto proprio me!).
Intanto era iniziata la contestazione giovanile: i giovani si divisero in rossi e neri. Io ero tra i rossi (più come osservatrice che come attivista) e fu tra loro che conobbi Giulio, il mio futuro marito. Ci sposammo nel 1973 e, dopo qualche mese, nacque il nostro primo figlio Emiliano. Il secondo, Michele, lo abbiamo avuto quasi sedici anni dopo. Nel frattempo ci eravamo trasferiti ad Arezzo ed era iniziata la nostra vita di lavoro, impegno e responsabilità. Quasi in un soffio erano trascorsi trent’anni di dedizione al lavoro e alla famiglia.
Solo dopo il Duemila ho potuto iniziare a coltivare la mia vera passione: la scrittura.
Entrare nel mondo della Parola, è stato come essere risucchiata da un vortice; in poco tempo ho pubblicato vari libri di poesie, ho molto materiale inedito, faccio parte della Tagete (Associazione degli Scrittori Aretini) di cui sono Consigliera e della giuria del Premio Aeclanum. Soprattutto ho conosciuto (virtualmente e/o fisicamente) tanta gente che condivide con me gli stessi interessi letterari.
Ora che sto battendo sui tasti del computer questa mia piccola leggenda personale, mi rendo conto di essere immersa nella tecnologia e mi stupisco di come in una sola vita abbia potuto sperimentare le tre civiltà (agricola, industriale, tecnologica) e di quanto ne sia soddisfatta. Ma questo forse è dovuto al “mio spirito giocondo”, al mio essere entusiasta di vivere comunque, che mi ha fatto omettere, nel raccontarmi, anche le numerose vicende dolorose che non mi hanno risparmiato. Perciò saluto chi avrà la voglia di leggermi con questo mio ringraziamento alla vita.
Grazie
Grazie, perché in quel momento
potrò dire “Che bella
è stata la mia vita”.
Grazie, perché sarò stata
intensamente
l’acqua e il fuoco
la terra e il vento
il fiore, la montagna sacra
e il canto.
Grazie, perché diffusa
riposerò in ogni cosa.
Ora
tenero e lieve
è il mondo.
( da Tra i solstizi – Aletti, 2011)
Sono nata nei primi anni cinquanta del secolo scorso nelle campagne di Chianciano Terme (Si), in un podere chiamato Poggio al moro, di cui non ho ricordi diretti perché, a qualche mese dalla mia nascita, la famiglia patriarcale, seguendo il corso della storia, si disgregò e ogni nucleo familiare lasciò il vecchio podere, andando ad abitare nel paese o vicino al paese.
Qualche anno fa sono tornata a visitare il casolare della mia nascita che, comunque, tramite i racconti di mia madre, persiste nel mio immaginario: è una bella casa di mattoni rossi, grande e articolata, sita in cima a un poggio e circondata da vasti vigneti, uliveti e boschetti; un luogo bello e arioso, dove però sono accaduti fatti molto drammatici per i miei genitori, che hanno segnato la loro vita e pure la mia.
Miei cari
L’infanzia torna
libellula posata su fiori di finocchio
case antiche su poggi di creta
Miei cari, tornate a me
nei campi di pastrinache
nei prati d’erba medica
Tornano le voci e le risate
gli sguardi dell’amore
libertà della vita di frontiera:
lenzuoli nelle stoppie
canti a squarciagola
Quasi niente era nostro
tranne la libertà di giocare
con il tempo
e quel tempo lento
vi ha scolpiti in me per sempre
(da Stagioni sovrapposte e confuse- Montedit, 2010)
Negli anni Sessanta ho potuto osservare il passaggio dalla civiltà agricola a quella industriale anche nel mio paese, da un osservatorio privilegiato: Viale Roma, l’arteria principale delle Terme chiancianesi.
Infatti, terminato l’anno scolastico, da studentessa mi trasformavo in commessa, impiegata in negozi di ceramica o di abbigliamento o di giocattoli e partecipavo al ritmo di lavoro entusiasta degli stagionali. In quelle estati c’era tutto un pullulare di gente per le strade, tra i Chiancianesi che da contadini s’improvvisavano albergatori, negozianti, baristi, camerieri, portieri, facchini, giardinieri, muratori e i “clienti”, numerosissimi e variegati, che arrivavano belli e abbronzati dalle precedenti vacanze marine e chiedevano solo relax e divertimento.
Giunse il periodo dell’Università e scoprii la città. L’acropoli di Perugia era magica, lì sembrava che vivesse una sola generazione, quella dei giovani studenti che dal pomeriggio fino a notte inoltrata invadevano Corso Vannucci, Piazza Quattro Novembre e tutti i vicoli dei dintorni. Fu lì che vidi chiudere l’ultima amata birreria e aprire la prima discoteca; fu lì che partecipai all’ultima grande festa delle matricole della storia, entrando alla testa del corteo nel Palazzo dei Priori con il manto di ermellino (ancora non so perché avessero scelto proprio me!).
Intanto era iniziata la contestazione giovanile: i giovani si divisero in rossi e neri. Io ero tra i rossi (più come osservatrice che come attivista) e fu tra loro che conobbi Giulio, il mio futuro marito. Ci sposammo nel 1973 e, dopo qualche mese, nacque il nostro primo figlio Emiliano. Il secondo, Michele, lo abbiamo avuto quasi sedici anni dopo. Nel frattempo ci eravamo trasferiti ad Arezzo ed era iniziata la nostra vita di lavoro, impegno e responsabilità. Quasi in un soffio erano trascorsi trent’anni di dedizione al lavoro e alla famiglia.
Solo dopo il Duemila ho potuto iniziare a coltivare la mia vera passione: la scrittura.
Entrare nel mondo della Parola, è stato come essere risucchiata da un vortice; in poco tempo ho pubblicato vari libri di poesie, ho molto materiale inedito, faccio parte della Tagete (Associazione degli Scrittori Aretini) di cui sono Consigliera e della giuria del Premio Aeclanum. Soprattutto ho conosciuto (virtualmente e/o fisicamente) tanta gente che condivide con me gli stessi interessi letterari.
Ora che sto battendo sui tasti del computer questa mia piccola leggenda personale, mi rendo conto di essere immersa nella tecnologia e mi stupisco di come in una sola vita abbia potuto sperimentare le tre civiltà (agricola, industriale, tecnologica) e di quanto ne sia soddisfatta. Ma questo forse è dovuto al “mio spirito giocondo”, al mio essere entusiasta di vivere comunque, che mi ha fatto omettere, nel raccontarmi, anche le numerose vicende dolorose che non mi hanno risparmiato. Perciò saluto chi avrà la voglia di leggermi con questo mio ringraziamento alla vita.
Grazie
Grazie, perché in quel momento
potrò dire “Che bella
è stata la mia vita”.
Grazie, perché sarò stata
intensamente
l’acqua e il fuoco
la terra e il vento
il fiore, la montagna sacra
e il canto.
Grazie, perché diffusa
riposerò in ogni cosa.
Ora
tenero e lieve
è il mondo.
( da Tra i solstizi – Aletti, 2011)